Nel cielo di Venere. Quale amore nella poesia dell'Ars Nova?
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Secondo la prospettiva autobiografica e politica che Dante definisce nella Commedia, nel cielo di Venere si porta alle estreme conseguenze la trasformazione dell’amore in caritas, già insita nella Vita nuova e declinata nel quarto trattato del Convivio come amore per la sapienza divina che permette di guardare con altri occhi alla cosa pubblica. L’amore diventa così la virtù teologale che guida chi governa ad agire in modo disinteressato per il bene comune. Si tratta di un’ideologia che supera l’orizzonte di parte rappresentato nella precedente lirica di argomento politico, di Guittone d’Arezzo e di altri autori prestilnovisti, per aprirsi a un pensiero di più ampia portata, in gran parte alimentato dall’ideale imperiale che sostituisce quello municipale. L'articolo cerca di rispondere alle seguenti domande: quali effetti ha avuto questo nuovo modo di intendere l’amore sulla successiva poesia lirica, in che misura ha influenzato la poesia degli autori successivi a Dante? È possibile che la poesia intonata dai polifonisti dell’Ars Nova, che sono quasi sempre religiosi al servizio delle principali istituzioni laiche ed ecclesiasti, rifletta questa declinazione in chiave etica e politica della poesia d’amore?
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