Recensione a M. Cacciari, La mente inquieta. Saggio sull'Umanesimo
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L’ultimo lavoro di Massimo Cacciari, La mente inquieta. Saggio
sull’Umanesimo, vuol essere un tentativo di ripensare il contenuto filosofico
dell’Umanesimo. Lontano dal diluire o dal ricondurre, come spesso ha fatto
una certa filosofia contemporanea, l’esperienza culturale del Quattrocento
italiano all’esclusivo ambito artistico-letterario, da un lato, e alla pratica erudita
e filologica degli studia humanitatis, dall’altro, l’autore riconosce, invece,
all’Umanesimo la sua piena identità e dignità filosofica. E lo fa esplicitando,
sin dalle prime pagine, il debito nei confronti della lezione di Eugenio Garin,
di quell’idea di Umanesimo civile compreso come «età di crisi […], in cui il
pensiero si fa cosciente della fine di un Ordine e del compito di definirne un altro,
drammaticamente oscillante tra memoria e oscuri presagi, crudo scetticismo e
audaci idee di riforma» (Introduzione). Proprio il riconoscimento dell’Umanesimo
quale momento disarmonico, disincantato, tragico e conflittuale, di rottura delle
cattedrali metafisiche scolastiche, rappresenta uno dei maggiori risultati della
ricerca e della prospettiva gariniana, a partire dalla quale questo saggio prende
le mosse.
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