1466802
doi
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G. Fazio, Il tempo della secolarizzazione. Karl Löwith e la modernitĂ
Mariaenrica Giannuzzi
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Creative Commons Attribution 4.0 International
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Lowith
<p><em>Il tempo della secolarizzazione. Karl Löwith e la modernità</em> (Mimesis, Milano-Udine, 2015) di Giorgio Fazio ripercorre la biografia intellettuale di Karl Löwith, lì dove l’asse biografico non è che un puntello per aggregare il dibattito filosofico di Weimar, e del Dopoguerra tedesco, intorno a temi e progetti fondamentali. Ed è conveniente che Fazio possa elencarne i principali per vedere poi quale sia stato il posto di un Löwith soldato, di un Löwith prima esistenzialista e poi <em>Naturphilosoph</em>, nel panorama singolarmente cupo dello scorso secolo. Il libro si divide in tre fasi, che potrebbero considerarsi la gioventù, la maturità e la vecchiaia del filosofo monacense. La prima parte è titolata Antropologia e modernità, dove s’indaga la posizione scettica di Löwith rispetto alle spinte mitiche o cripto-protestanti di un Klages o di Martin Heidegger durante gli anni di formazione, che includono anche un interesse per la critica marxiana del mondo e dell’esistenza borghese con Max Weber e Karl Jaspers. Di questo periodo, o poco precedente, è lo scritto (in genere non menzionato negli studi sul pensiero filosofico) <em>Fiala. Storia di una tentazione</em>, storia, in pratica, del progetto di uccidersi, che fa il paio con la famosa dissertazione di Löwith <em>L’individuo nel ruolo del co-uomo</em>, naturalmente analizzata qui a fondo, con maestria e dovizia di genealogie. Ma il momento forse più famoso del pensiero Löwithiano è quell’andirivieni tra una storia ‘giacobina’ della filosofia (<em>Da Hegel a Nietzsche</em>) che non risparmia colpi a nessun conservatorismo sciovinista della sua generazione, e l’altro asse, la filosofia della storia. La seconda parte del libro è, infatti, chiamata Il tempo della secolarizzazione, dove questo tempo è diviso nel trittico Gli anni della decisione; Da Hegel a Nietzsche; Significato e fine della storia. Sono gli anni più difficili per pensare un’etica di tendenza socialista – Fazio dice ‘scettica’ – sul tema della decisione, considerate le forti spinte fasciste dietro questo tema principe della costituzione schmittiana e del putsch hitleriano. Mentre ha corso la sussunzione nazionalista dell’operaio-massa e il disfacimento di ogni orizzonte storico-letterario, ma anche di organizzazione sociale, legati al progetto umanista di <em>Bildung</em>, la löwithiana storia della filosofia analizza e dissolve la nuova temperie fatta di cicli vitalisti di ascesa e caduta, quando non regna l’impolitico. È questo il seme della critica soprattutto al post-hegelismo cantore dello Stato. Il seme statalista rimane un peccato originale della filosofia tedesca rivoluzionaria da Hegel a Nietzsche. Soprattutto una rivoluzione verso il secolarismo democratico che rimane, con il Marx dell’<em>Ideologia tedesca</em>, solo nel regno delle idee teologiche e soprattutto lontana dall’attenzione alle forme naturali, che Goethe avrebbe, per un attimo, indicato con successo. L’uomo tedesco non ha trovato, e non può trovare, in virtù della propria tradizione, una sintesi spirituale tra individuo e società, se non tramite una <em>Weltgeschichte</em> che sfocia nel militarismo, cioè «nello spirito della storia» e non nel «campo della natura» (cfr. <em>Il tempo della secolarizzazione, </em>p. 170-171). </p>
Zenodo
2018-10-19
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Lo Sguardo
26
2018-10-19